NUCOA MARGARINE

Tutti hanno ben presente che i bambini di oggi saranno gli adulti di domani. Tutti quanti conoscono, o almeno hanno sentito vagamente, la frase “siamo quello che mangiamo”. Eppure ben pochi associano le due cose: se diamo da mangiare ai nostri bambini un sacco di schifezze, se permettiamo loro di scegliere cosa mangiare e quando farlo, se siamo pronti a scattare di fronte ai loro capricci più strani in materia di cibo, che razza di futuri adulti stiamo crescendo?

Per chi ha un bambino piccolo il momento dei pasti è uno dei momenti più temuti: chi è che non ha il terrore che l’amato figlioletto si trasformi in una piccola peste, tutto sporco e appiccicoso, che sputacchia e lancia grumi di pappa grigia in giro per la casa e sui poveri genitori innocenti? Per evitare questo spesso si sceglie la strada sbagliata: ecco allora fare la sua comparsa in cucina la televisione, magari con il dvd preferito del piccolo che viene visto a ripetizione in caso il momento del pasto si protragga nel tempo. Ecco che arrivano i giocattoli sul seggiolone in modo da poterlo “distrarre” per infilargli a tradimento un altro cucchiaio di brodaglia in bocca. Ecco che i genitori, o i nonni, o gli zii prediletti, si esibiscono nelle più umilianti performances comiche, sempre per distrarre il piccolo e farlo mangiare.

A volte il bambino è “pigro” nel mangiare e allora genitori spaventati gli preparano tutto quello che vuole, anche a costo di sacrificare il giusto equilibrio nell’alimentazione. Quindi ci sono purtroppo bambini che mangiano sempre e solo le stesse cose: bastoncini di pesce, fettina panata, patatine fritte e nemmeno l’ombra di una verdura. Deprimente, vero?

Ma è mai possibile che i bambini abbiano incisa nel proprio DNA l’avversione per le verdure? Potrebbe essere che l’attrazione per i cibi spazzatura (junk food) sia una specie di malattia dell’infanzia (che a volte prosegue nell’età adulta)? Ovviamente non è così.

Anche qui, poche semplici regole e qualche consiglio pratico possono fare la differenza.

Per prima cosa dobbiamo tenere sempre presente una certa “dualità” nel comportamento dei bambini: amano le novità ma allo stesso tempo sono spaventati da esse. Quindi il bambino meno sicuro di sé tenderà a cercare sempre gli stessi cibi, nel tentativo di costruirsi anche al momento dei pasti una certa routine che possa rassicurarlo nella vita di tutti i giorni. Compito del genitore in questi casi non è quello di costringerlo a mangiare cibi nuovi ma fargli venire quella curiosità sufficiente da spingerli ad assaggiarli spontaneamente.

In questo caso a me è risultato molto utile quello che ho chiamato il “gioco del tre per tre“: spiegate a vostro figlio che i cibi nuovi hanno un sapore diverso che a volte può ingannare. Non è detto che al primo boccone piaccia, allora per essere sicuri che sia buono (o cattivo) dovrebbero assaggiarlo per tre volte di seguito e poi, nei giorni seguenti, altre tre e poi altre tre, tutte le volte cucinati in maniera differente. C’è una piccola capacità del cervello umano: se si ripete un movimento difficile, una frase complicata da dire, un lavoro manuale particolarmente arduo da portare a termine, per tre volte di seguito, il cervello si predispone ad impararlo in maniera permanente. Se lo fate “tre volte tre” alla fine lo impara proprio per benino! Fare la stessa cosa con il cibo, come se fosse un gioco, abitua il gusto del piccolo al sapore del nuovo alimento e difficilmente il cibo finirà nella “lista nera” dei cibi da evitare.  Con questo sistema ho fatto mangiare le verdure ad un sacco di bambini, con somma invidia (ma anche gratitudine) da parte dei loro genitori, che per anni avevano tentato altri sistemi meno efficienti.

Ovviamente se il cibo viene rifiutato anche dopo il gioco vuol dire che per il piccolo proprio non va. Spiegategli pazientemente che va tutto bene, nessun problema. Avvertitelo però che il gusto cambia crescendo e che sarebbe meglio per lui ripetere il gioco dopo un po’ di tempo. Lasciate passare un paio di mesi e poi riprovateci: il sapore non sarà più così nuovo, il bambino sarà meno prevenuto e probabilmente tutto andrà bene.  Eventualmente raccontategli voi degli aneddoti riguardanti qualche cibo che da piccoli non mangiavate e che poi una volta diventati grandi avete scoperto essere buonissimi: i bambini odiano sprecare occasioni favorevoli di assaggiare qualcosa di buono e li aiuterete a convincersi ad assaggiare di nuovo.

Ancora: cercate di evitare i giochi e le distrazioni varie al momento dei pasti. Date al bambino delle posate adatte a lui per mangiare, invece dei pupazzetti da immergere nella minestrina! Imparerà a concentrarsi sul cibo e il fatto di riuscire a portare da solo qualcosa alla bocca farà aumentare la sua stima di sé, aiutandolo nella crescita. Inoltre il momento del pasto dovrebbe essere un momento sereno di condivisione. Cercate quindi di mangiare tutti insieme, evitando urla e strepiti vari, anche se il bambino i primi tempi facesse disastri con il suo piatto. La serenità della vostra famiglia vi ripagherà dei sacrifici fatti.

Ricordate: il pasto, come il gioco, è bello se dura poco! Ho visto genitori “invecchiare” davanti ai piatti dei propri figli, mentre i bambini mangiavano pigramente mettendoci anche un’ora intera per finire un piattino di pasta!

Concesso un tempo limite al pasto (trenta o quaranta minuti da quando si mette in tavola), se il bambino non ha finito, il piatto viene tolto e basta. In questo modo imparerà che c’è poco da scherzare e che la prossima volta dovrà fare un po’ più in fretta se vuole mangiare ancora. Stesso discorso se il bambino si alza e va a giocare invece di mangiare. Spiegategli che quando uno si alza da tavola vuol dire che ha finito e quindi non può tornare dopo un po’ e pensare di trovare ancora il suo cibo. Dopo avergli concesso un massimo di due o tre minuti e averlo chiamato un paio di volte gentilmente, buttate via tutto, in modo da evitare la tentazione di farvi commuovere dalle sue proteste e restituirgli il piatto. State tranquilli che non capiterà più. Ovviamente poi non vanno propinate merende sostitutive ad ore insolite: se si mangia alle 13 e si fa merenda alle 17, una volta saltato (tutto o in parte) il pranzo, si mangia di nuovo alle 17 come gli altri giorni e si mangia la solita quantità di cibo, senza tentare di “recuperare” il cibo perduto, per evitare che poi a cena la storia si ripeta da capo.

Analogo discorso se il bambino rifiuta un cibo (anche se è quello dei gioco) che è nel piatto: mai sostituirlo. Si crea un precedente che poi si ritorcerà contro di voi! Se non mangia qualcosa (o non mangia proprio) nessuna tragedia, il prossimo pasto avrà più appetito.

Tenere a mente: il cibo vario è una buona cosa, ma il cibo “troppo vario” è come se fosse avariato!

Sicuramente è un bene introdurre cibi nuovi nella dieta del piccolo, ma questo va fatto gradatamente. Se ogni giorno cucinate qualche cibo a sorpresa, alla fine vostro figlio sarà disorientato da tanta varietà e non farà in tempo ad abituarsi ai sapori che subito ne avrà di nuovi da tenere in considerazione. Alla fine il cibo gli verrà a noia e per lui il pasto sarà fonte di stress.

Attenzione: evitate di contagiare le vostre fobie alimentari al piccolo. Se non mangiate qualcosa (qualcosa di normale, nessuno vi costringe a preparare cervello di scimmia o cavallette fritte a vostro figlio) fatela comunque assaggiare ai vostri bambini e nel farlo mantenete un’espressione neutrale. Se fate versi schifati mentre mangia, come pensate che possa piacerli quel cibo? Io non mangiavo cozze e vongole (poi ho deciso di seguire i miei stessi consigli ed ho scoperto che sono buone) ma i miei figli ne vanno matti da sempre, proprio perché le hanno assaggiate con la giusta curiosità e senza avere il fardello dei miei pregiudizi su quel tipo di cibo.

Ultima cosa: occhio alle quantità. Se fornite ai vostri figli dosi troppo generose di cibo nel tentativo di farli “crescere forti” state facendo la scelta sbagliata. Il piccolo si abituerà a mangiare troppo e con il passare del tempo mangerà sempre di più, con possibili futuri problemi di obesità. Meglio che si alzi da tavola con un piccolo residuo di appetito che completamente pieno da scoppiare, la sua salute ci guadagnerà.

Scopo di tutto questo non è affamare i propri figli in modo che non “rompano” al momento dei pasti, gettandosi sul cibo come leoni affamati. Il fine a cui un bravo genitore deve tendere è insegnare ai propri figli quella apertura mentale che comincia con il cibo ma poi si estenderà ad altri campi della vita che gli consentirà di crescere sicuro e capace di affrontare le sfide della sua vita futura. Ecco, secondo la mia modesta opinione, dove si vede che “siamo quello che mangiamo”…

 

Immagine: NUCOA MARGARINE di George Eastman House, su Flickr

Laureato in risultati (ma anche in Matematica con indirizzo Informatico alla Sapienza di Roma), attualmente coltivo la mia passione per l'informatica facendo l'IT Manager presso un broadcaster televisivo nazionale e parallelamente mi diverto a scrivere.

Fin dagli anni 90 mi sono interessato di PNL leggendo quasi tutti i libri pubblicati nel settore. Nel 2003 ho finalmente completato il percorso formativo di NLP Master Pratictioneer studiando con Alessio Roberti e Claudio Belotti e da allora ho continuato a studiare e ad imparare come applicare queste tecniche nella vita di tutti i giorni.
Dopo numerose esperienze negli anni come formatore, anche nel campo della scuola pubblica e in corsi presso la Regione Lazio, mi sono reso conto che mi piaceva "insegnare" alle persone, non soltanto la materia ma anche come "farsela piacere" e che di solito questo mi riusciva bene! Da qui il nuovo interesse per la scienza dell'educazione, applicata alle tecniche di PNL.
Nel 2011 ho pubblicato con Bruno Editore l'ebook "Diventare papà" in cui ho raccolto consigli, trucchi e suggerimenti per i poveri papà in erba, ignorati dalla manualistica tradizionale, di solito orientata a produrre libri dedicati esclusivamente alle mamme.
Il mio motto è una frase di Yoda (Star Wars): "C'è FARE e NON FARE, non c'è PROVARE!"