Separarsi deve essere una delle tragedie più grandi della propria vita: essa a volte è necessaria, ci salva da una relazione tossica, che impedisce la nostra evoluzione, ma porta con sé morti o feriti, parti di noi che si dilaniano in ricordi, progetti, investimenti esistenziali che da quel momento si estinguono e ci rendono poveri. La memoria, però, è necessaria per curare le ferite, per rendere più dolce il calice amaro del passato.
Credo che non ci separi mai da chi si è amato, anche perché, talvolta, rimangono i frutti viventi di quell’amore. La memoria è proprio quel tessuto utilizzato per sanare un vestito lacerato: è la stigmate nostalgica di qualcosa che poteva diventare una spinta vitale dentro e fuori di noi ma che si è trasformata in un cancro che rischiava di portarci al baratro.
Rielaborare un ricordo, parlare di un evento luttuoso, aiuta invece a mantenere il legame, a non rimuoverlo, a farlo guarire dentro di noi, a farlo risorgere. Ci sono separazioni dentro di noi, prima di tutto, e poi fuori che non hanno genesi né spazio proprio per questa paura di far emergere una nuova spinta evolutiva. Il dolore apre la strada sempre alla liberazione solo se sostenuto dal coraggio di crescere, di conoscere, di sentire la forza del perdono per sé, per gli altri, per una vita, ad un certo punto, non più desiderata. Non ci si separa veramente se si distrugge il ricordo, ma se si perdona. Perdonando, perdonandoci di essere stati tanto ciechi quanto ora amiamo finalmente vedere e camminare verso un amore nuovo, libero di fiorire anche in una prospettiva sovrapersonale
La capacità di creare dal nulla, senza sicurezze, come una relazione tra amanti, sempre di nascosto, sempre sull’uscio dell’incerto, si misura ogni volta con la creazione del non generato, del non rivelato, del giammai sperimentato, del confine inviolato. Ogni volta l’incontro si arricchisce di sguardi nuovi, di gemiti, di percezioni siderali, di nuovi fantasmi. Gli amanti non si conoscono: si ascoltano sempre come fosse la prima volta e ciò rimanda all’inconoscibile sensazione euristica di incompiuto.
Questa incompiutezza genera il desiderio di riallinearsi, senza soluzione, in una nuova, rinnovata, esperienza fusionale. L’amore, quando è un datum, quando è in porto sicuro, allora può divenire prigioniero del tempo, è conoscibile, è scontato, è ancorato ad un mar di bonaccia. L’amore sconosciuto ha sempre uno sguardo velato, naviga nell’ombra dei sentimenti, si svela tra le righe del tempo e dell’imbarazzo, si nutre di sensazionale occasionalità.
L’amore nascosto chiede di essere non l’unico ma l’irripetibile, non sicuro ma irraggiungibile, non solo lecito ma straniero. La scelta del porto, in questa poesia, esprime l’orizzonte del viaggio, dell’insicurezza, dell’imprevedibile percorso. L’amore sacro non appartiene ad alcuno, non si può mercanteggiare alla caasba o in un tempio. Esso è libero come la coscienza, nasce dal sogno, si nutre di immaginario, libera la fantasia e rigetta l’ovvio
Trovare il sorriso dentro, quando lo si esterna fuori è cosa difficile, soprattutto per chi ha problemi della comunicazione.
Cosa spinge a comunicare, cosa spinge a cercare fuori dal proprio mondo ingabbiato ?
Torniamo indietro, all’infanzia. Non c’è Indiana Jones più grande del bambino che vuole scoprire il mondo intorno a sé. La mamma svolge questo ruolo importante: non lo lascia quasi mai solo, lo accompagna guidandolo anche rispettandone le inclinazioni, lo educa a conoscere il bene ed il male relativo, lo stimola sempre più a conoscere, a misurarsi. E da questa fase che nasce il DESIDERIO. Il desiderio, se genuino, non ha connotazioni negative, quando lo sentiamo proviamo felicità, interesse, piacere, bisogno di condivisione: è questa la famosa perla del campo evangelico, è questa la nostra vera unica ricchezza. Se non c’è desiderio non ameremo conoscere, viaggiare, comunicarci e comunicare, metterci in discussione, leggere, ascoltare la musica, andare a teatro, danzare, accarezzare un fiore, passeggiare, nuotare, giocare, fare progetti, regalare, desiderare di amare, sedurre, desiderare i nostri figli, donare la nostra vita, amare Dio: in una parola EVOLVERE.
Se non v’è desiderio diverremo scontrosi, possessivi, chiusi, asociali, falsi, pietrificati, contestatori inutili, privi di progetti lungo termine, privi di una visione globale della nostra vita, incapaci di comunicare consenso. In noi, senza Desiderio, non regnerà la Pace interiore. E ce ne accorgiamo subito: qualsiasi cosa diciamo, scriviamo, facciamo senza desiderio produce astio, lontananza, rancore: diventiamo esseri imprigionati da schemi duri a morire, pieni di lagnanza e critica verso il mondo esterno. Il desiderio è padre del cambiamento. Cambiare, sì, ma chi ce lo fa fare ? Non si cambia quando si è in pace con sé stessi e con il mondo, quando siamo nel cuore aperti sempre all’innovazione !
Si può cambiare, è un’opportunità, difronte alle difficoltà, quando nutriamo rabbia (anche se non riusciamo a vederla), quando non ci sentiamo realizzati, amati, stimati e come al solito diamo la colpa agli altri. Ma il Cambiamento non è semplice: non lo puoi indossare un giorno, e l’altro tornare quello che eri ieri. Il Cambiamento autentico nasce dalla scoperta che “quello che sono oggi non mi basta più”, che voglio Essere di più; tutto ciò ha un prezzo, alto, “può fare strage di feriti e a volte anche morti”, è un terremoto a volte di proporzioni ampie. Cambiare ti invoglia a metterti in discussione, a passare da “mi hanno insegnato quando ero bambino (e forse lo sono ancora)” a scelgo perché sono adulto e Libero di scegliere la mia vita che qualcuno un tempo ha programmato per me, dentro di me. Cambiare fa mettere in discussione gesti, comportamenti caratteriali, ci fa innamorare di altri comportamenti, di altre Visioni del Mondo, ci fa viaggiare su coordinate diverse, ci fa trovare una pace duratura, verso tutti. Ma tutte queste belle parole sono inutili se manca la Via Lattea della nostra vita: il Desiderio, la forza interiore collegata all’Universo ed a Dio che ci piega fino alla punta dei piedi, con dolore atroce, ma ci fa rielevare dolcemente e ci invita ad aprire una nuova porta, ad uscire dalla gabbia stretta in cui viviamo, lagnanti e piccoli, per diventare propositivi e adulti per tornare a guardare sempre oltre l’orizzonte. Un cambiamento si avvale di aiuto, di Counseling, di confronto, di umiltà.
Chi cambia non può rifiutare di ricevere, di mettersi in discussione con gioia, dando sfogo alla rabbia, togliendosi le spine ma perdonando, perdonandosi. E quando si cambia non bisogna più fare marcia indietro: la moglie di Lot, nipote di Abramo, nel timore di aver dimenticato i bagagli si girò indietro, verso Sodoma che era in distruzione, e venne pietrificata. Se cambiamo non è consentito di desiderare il passato, non possiamo scrivere ancora sul quaderno della nostra vita passata. Dobbiamo desiderare di scrivere la nostra storia presente su un nuovo quaderno. Altrimenti ne resteremo pietrificati, per sempre.